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Professioni sanitarie, il futuro è nel privato

Alessandra Corica
Fisioterapisti, logopedisti, podologi, igienisti dentali… La domanda resta alta, ma non nel pubblico a causa del blocco del turn over. E il settore si ridisegna

Il tasso occupazionale medio, se si guarda agli anni che vanno dal 2007 in poi, per loro è del 75 per cento. Significa che, a un anno dal completamento del percorso di studi, tre su quattro riescono a trovare lavoro. Sono i giovani che hanno scelto di iscriversi in uno dei 22 corsi di laurea delle professioni sanitarie: scienze infermieristiche per chi aspira a fare l’infermiere, per esempio. Oppure ostetricia per chi vuol diventare ostetrica. Ma anche fisioterapia, logopedia, podologia: un universo ampio, che rispetto ad altri settori ha un placement lavorativo molto alto già durante i primi 12 mesi che seguono la fine del percorso di studi. Ma che, al tempo stesso, negli ultimi anni si sta ridisegnando, con uno spostamento netto verso il settore privato e la libera professione, visto che il blocco del turn over e delle assunzioni negli ospedali e nelle aziende regionali ha reso molto difficile, per un neolaureato, trovare posto in una struttura pubblica.
«Quest’anno», spiega Valerio Dimonte, presidente del corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università di Torino «la situazione si sta sbloccando, grazie ai nuovi concorsi banditi negli ospedali pubblici. In generale, anche per questo gli infermieri negli ultimi anni hanno trovato sbocchi in ambiti che prima erano poco sviluppati, o che erano considerati meno attrattivi, come le strutture di cura intermedie e le residenze sanitarie per anziani».


Il cambiamento è dovuto anche ai nuovi bisogni di salute da parte della popolazione italiana, sempre più anziana e con una percentuale di malati cronici in aumento: un fatto che ha portato al maggior sviluppo di strutture che si occupano dei pazienti non tanto durante la fase “acuta” della malattia, che richiede il ricovero in ospedale, ma dopo le dimissioni, quando il paziente ha ancora bisogno di attenzioni anche se non più del ricovero, e per questo deve essere seguito prima di poter tornare a casa. Strutture riabilitative, insomma, nelle quali le prospettive occupazionali sono buone per gli infermieri ma anche, per esempio, per i neolaureati in Fisioterapia, che è uno dei corsi studi con un tasso occupazionale tra i più alti, secondo le rilevazioni condotte da Angello Mastrillo, segretario della Conferenza nazionale dei corsi di laurea delle professioni sanitarie: in media, otto volte su dieci i giovani laureati trovano un’occupazione nell’arco di 12 mesi. «Nel privato», conferma Patrizia Galantini, membro dell’ufficio di presidenza dell’Aifi, l’Associazione italiana fisioterapisti, l’unica con il riconoscimento da parte del ministero della Salute, «si sta verificando uno spostamento soprattutto verso quei contesti e quelle strutture il cui compito è stabilizzare il paziente, dopo la fase acuta trattata in ospedale. O, anche, in quelle nelle quali ci si occupa di malati cronici, che quindi hanno bisogno di cure continuative nel tempo. Per la nostra professione uno sbocco importante è poi rappresentato dal mondo dello sport, dove le prospettive sono in aumento anche grazie alla maggiore sensibilità che c’è sul tema: oggi anche le squadre di calcio minori, per esempio, almeno una o due volte a settimana richiedono la presenza sul campo del fisioterapista. Questo, nei fatti, apre maggiori prospettive occupazionali».


Quel che è certo è che ci vuole creatività. E, in alcuni casi, anche la possibilità di investire, visto che le prospettive nel sistema sanitario pubblico sono stagnanti, e che lo spazio occupazionale maggiore è nel settore privato. «La libera professione», nota Mastrillo «per alcuni neolaureati è lo sbocco principale: si pensi, per esempio, agli igienisti dentali, ai podologi, ai tecnici ortopedici e ai tecnici audioprotesisti. Per queste figure, il lavoro autonomo è una prospettiva concreta. Ci sono poi altri professionisti, come il logopedista e appunto il fisioterapista, che hanno un profilo “misto”, con l’attività lavorativa che può essere svolta sia come dipendenti sia come libero professionisti». Secondo le ricerche condotte da Mastrillo, così, sono proprio i corsi di laurea con sbocchi nella libera professione quelli che hanno un “placement” maggiore dopo la fine del corso di studi: negli ultimi sette anni l’88 per cento dei laureati in Fisioterapia ha trovato lavoro entro il primo anno dal conseguimento del titolo e dell’abilitazione.


Stessa cosa per gli igienisti dentali, mentre per i logopedisti il tasso è all’87 per cento. Seguono poi gli audioprotesisti con l’83 per cento di possibilità di trovare lavoro entro l’anno, gli infermieri con l’81 e i podologi con il 79. Ma come organizzarsi per lavorare nel privato? «Per i giovani fisioterapisti che scelgono la libera professione, e in generale per i neolaureati delle professioni sanitarie che ne hanno la possibilità, una delle opzioni possibili è quella di aprire uno studio individuale o in aggregazione con altri che esercitano nella stessa struttura», spiega Galantini di Aifi: «In alcune regioni, come la Toscana, per aprire uno studio di fisioterapia basta semplicemente il deposito della dichiarazione di inizio attività. In altre, invece, serve l’autorizzazione regionale». Attenzione, però: non tutti i neolaureati possono perseguire la strada della libera professione. «I tecnici di laboratorio e di radiologia, i neurofisiopatologi e i tecnici di prevenzione del lavoro difficilmente riescono a lavorare in proprio», spiega Mastrillo «Non a caso, questi sono i corsi di laurea che, in un’ideale classifica tra i 22 delle professioni sanitarie, offrono meno sbocchi. Discorso a parte va fatto invece per gli infermieri: nel 2007 il placement lavorativo era, a un anno dalla laurea, del 94 per cento. Nel 2013 il tasso occupazionale è arrivato al 65, nel 2014 al 67: oggi la media è intorno all’80 per cento, buona anche se più bassa rispetto ad alcuni anni fa». Di qui, la ricerca anche di nuovi sbocchi all’estero: «I nostri laureandi in Scienze infermieristiche sono ambiti: molte agenzie governative inglesi vengono a fare reclutamento in Italia tra i neolaureati», ricorda Dimonte.


Uno degli ultimi casi è stato, a Milano, lo scorso marzo: l'ospedale St George's, una delle istituzioni sanitarie più grandi e importanti di tutto il Regno Unito, ha selezionato in città cinquanta infermieri da assumere nelle proprie strutture. «In alternativa, un modo per rendersi appetibile per il mercato del lavoro è quello di frequentare un master di primo livello dopo la triennale, in modo da acquisire una specializzazione: sempre più spesso nelle strutture, sia pubbliche sia private, in ambiti come quelli dell’infermiere di pediatria, di cure palliative, di famiglia o di sala operatoria vengono richieste competenze specifiche, da acquisire con ulteriori studi dopo la laurea triennale». Che è abilitante, e alla quale può anche seguire la laurea magistrale, di altri due anni: «Ma in questo caso», sottolinea Dimonte, «gli studenti acquisiscono soprattutto competenze organizzative: chi consegue il titolo magistrale dopo ha prospettive lavorative soprattutto di tipo manageriale, o nell’area della formazione e della ricerca».


Discorso a parte per chi si laurea in Ostetricia, uno dei corsi di laurea con il tasso occupazionale più basso negli ultimi anni, «anche se a partire da quest’anno la situazione è migliorata e stiamo iniziando a recuperare», sottolinea Maria Vicario, presidente della Federazione nazionale dei collegi ostetriche, «Oggi per la nostra professione le prospettive migliori sono quelle che vengono dai nuovi modelli organizzativi, a conduzione “ostetrica”, che hanno lo scopo di occuparsi a 360 gradi della salute della donna. Dall’arrivo in ospedale per il ricovero prima del parto, fino a dopo la nascita del bambino, nella fase di accudimento e allattamento del neonato». Anche in questo caso, le prospettive maggiori sono nel privato: «La legge di stabilità 2016 in teoria avrebbe dato alle Regioni il via libera per fare delle nuove assunzioni e colmare quindi i fabbisogni di ogni ospedale, aumentati anche vista l’entrata in vigore della nuova normativa Ue che impone stacchi di 11 ore tra un turno e l’altro», riflette Vicario: «Per il momento, però, queste assunzioni sono bloccate, perché nelle regioni in piano di rientro non possono essere banditi nuovi concorsi». Di qui, gli sbocchi che rimangono effettivi ancora soprattutto nel settore privato, con cooperative, società di servizi e associazioni tra professionisti. «In libera professione si lavora nei centri che si occupano di procreazione medicalmente assistita, di primo, secondo o terzo livello», spiega Vicario, «Ci sono possibilità poi in tutte quelle strutture convenzionate che si occupano della salute della donna durante le varie fasi della vita. A partire dall’adolescenza, durante la quale l’ostetrica si occupa di fare prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e di informare sulla contraccezione. Fino alla menopausa e alla terza età, quando ci si occupa soprattutto di diagnosi precoce dei tumori, per esempio alla sfera genitale e alla mammella».

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